Rinuncia, maturità psichica e trionfo della bellezza

[…] Si sollevano gli anni alle mie spalle
a sciami. Non fu vano, è questa l’opera
che si compie ciascuno e tutti insieme
i vivi i morti, penetrare il mondo
opaco lungo vie chiare e cunicoli
fitti d’incontri effimeri e di perdite
o d’amore in amore o in uno solo
di padre in figlio fino a che sia limpido.

E detto questo posso incamminarmi
spedito tra l’eterna compresenza
del tutto nella vita nella morte,
sparire nella polvere o nel fuoco
se il fuoco oltre la fiamma dura ancora.

(Da  Nell’imminenza dei 40 anni, Mario Luzi)

 

Diversi approcci psicoanalitici considerano il concetto di rinuncia come tappa obbligata per raggiungere la maturità psichica.
Citando alcuni autori vediamo che per Freud la rinuncia alla madre è un passaggio obbligato ai fini del superamento della fase edipica ed il raggiungimento della maturità, per Melanie Klein la maturità è legata all’ingresso nella fase depressiva che implica la rinuncia all’onnipotenza per aderire alla realtà, per Lacan la rinuncia implica il passaggio a rinunciare ad essere Tutto per l’Altro.
In buona sostanza, la necessità della rinuncia che la persona deve effettuare in un determinato momento dello sviluppo è una rinuncia che esige di lasciarsi alle spalle le cose, accettando lo scorrere del tempo, abbandonando i sogni e le illusioni. C’è un cambiamento in colui che volge lo sguardo dal guardare indietro al guardare avanti: si tratta della rinuncia ad un passato mitizzato, che si accompagna alla rinuncia sul controllo del tempo: il ritorno al passato è impossibile, ma altrettanto il controllo del futuro.
La rinuncia al controllo del tempo e degli accadimenti futuri è insita la sola certezza della fine, ossia della nostra morte, certezza da assumere per scampare alla follia e raggiungere la maturità. Questa rinuncia alla persistenza è l’ultimo e inevitabile passaggio per il contatto con la realtà.
Se è vero che lo sviluppo umano può progredire solo abbandonando l’illusione della perfezione, è altrettanto vero che è proprio dal sacrificio della piena soddisfazione pulsionale e narcisistica da cui sono nate la civiltà, la cultura, l’arte o, in una sola parola, tutto ciò che ha che ha a che fare con la bellezza.
La bellezza, in quanto espressione di ideale, è un concentrato simbolico di ciò che può essere sottratto al limite del tempo, quindi alla morte. Attraverso le diverse forme della bellezza l’uomo continua a esprimere un anelito di infinito ed eterno, facendo delle proprie illusioni un gioco e delle proprie pene ironia e umorismo.

 

Articolo scritto da:
Dott.ssa Erika Bertaccini

Psicologa Psicoterapeuta

 

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